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I racconti di Antonio Petillo:


IL CUORE

Lui fu l’unico a superare il record, già notevole, del bravoallenatore. Per sette anni di fila, non era mai arrivato in ritardo. D’assenze nemmeno a parlarne. Mai una febbre, un dolore, un mal di testa.

Per la verità, d’infortuni e influenze n’aveva avute, ma queste cose non lo inducevano a saltare gli allenamenti. Semmai la scuola. Quella si. Ma l’allenamento era troppo importante, improrogabile.

Quando si presentò per la prima volta al campo di basket, colpì la sua forte somiglianza con il Peppino Di Capri degli anni ’60. Occhiali spessi un dito e dalla grossa montatura, capelli ricci “abbuffati” e un po’ timido caratterialmente. Nello studiare non era proprio un fenomeno, e, bisogna dire che a pallacanestro era ancora peggio. Una frana. Insomma, il classico soggetto negato ma pieno di volontà. E questa sua voglia d’imparare era la sua forza, il giusto mezzo, che lo ripagava facendogli fare dei piccoli ma costanti progressi. Ogni suo minuto libero era una telefonata al bravoallenatore e di seguito un blitz nel campo dei preti, dove perfezionavano un movimento tecnico o ne impostavano un’altro. Nei suoi allenamenti non c’erano categorie e campionati. Si esercitava con tutti i gruppi della società sportiva, e, quando nessuno si preparava nel campo, preferiva allenarsi con la squadra di pallavolo. Di sera, il custode era costretto a cacciarlo via a pedate, ma il muretto di recinzione era troppo basso per costringerlo a rimanere fuori… Durante le prime partite, metteva piede in campo solo sporadicamente. Costretto in panchina, osservava accortamente tutti i gesti dei compagni; cercando di “rubare” il mestiere dei più esperti. I primi canestri che iniziò a realizzare, dopo qualche tempo, erano seguiti da uno sproporzionato entusiasmo che lo facevano emettere urla da giungla, tanto da far morire dalla vergogna tutti i compagni di squadra presenti sul campo. Ben presto la sua costanza iniziò a dare gli attesi frutti. Era impiegato nelle partite sempre più assiduamente, con il compito di “specialista difensore”. E lui non deludeva mai, appiccicandosi come una zecca sul malcapitato avversario di turno. Niente gli faceva paura. E credeva, sempre più di tutti, nelle imprese impossibili. Per lui la gara non aveva mai fine, c’era sempre tempo a sufficienza per recuperare venti punti di scarto o infliggerne altri venti all’avversario. Le più belle vittorie, nate da impossibili rincorse, venivano spesso dai suoi canestri, che iniziava a realizzare sempre più costantemente. Il suo “cuore” era l’ammirazione di ogni società, e tutte sognavano di averlo nella propria squadra. Un sabato notte, alle quattro e mezza, si trovava ancora al “Tien’a ment” con qualche amico e il bravoallenatore; a sfrenarsi col “pogo” di un gruppo punk inglese. Sicché, tra chitarre sfasciate e batterie incendiate, si lanciarono direttamente nell’importante partita della mattina seguente, dove lui realizzò quarantatré punti e difese per tutta la gara sul miglior giocatore avversario. Il tutto senza sentirsi minimamente affaticato.

I suoi progressi erano sempre più costanti, e così pure la voglia d’allenarsi e migliorare. Sia in partita sia in allenamento non lasciava mai una palla vagante, facendo tuffi e capriole per catturare quella preziosa sfera; che rappresentava l’oggetto della sua felicità. Per questo i compagni lo chiamavano: “ ‘o dannato”. Naturalmente, la propria generosità di giocatore e l’esemplare serietà, non passavano inosservate agli occhi delle compagini più ambiziose. Cosicché, cambiò bandiera e, con le sue urla e la sua volontà, prese per mano la nuova squadra, trascinandola molto più in alto. E solo per la rinuncia al titolo di questa nuova realtà, non ebbe la possibilità di partecipare alla meritata serie cadetta.

Una volta, In occasione di un ambizioso spareggio, fece sbalordire i preoccupati medici che lo videro giocare; nonostante avesse subito una delicata operazione al ginocchio appena quattordici giorni prima. Ma la nota di maggiore rilievo fu la sua gran partita, che consentì la promozione della squadra alla categoria superiore.

Oggi il giocatore porta impercettibili lentine, ha i capelli rasati e ascolta solo musica classica, ma fa ancora

“ ‘o dannato”, nonostante non sia più un comprimario, ma un esperto protagonista. C’è chi dichiara che è una fortuna averlo in squadra, ma è soprattutto un grande esempio vederlo giocare. E, c’è addirittura chi giura di averlo visto, prima della gara, deporre il “cuore” a centrocampo e poi iniziare a giocare.

                                                                                              Antonio Petillo 05/2001

 

 





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