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I racconti di Antonio Petillo "il cuoco"


"Il cuoco" In verità quel giorno aveva giocato male, forse l’emozione, le finali, la stanchezza, ma in compenso la sera aveva preparato delle ”pennette alla vecchia Napoli” veramente squisite. Prelibate. Altro che ristorante! Frequentava l’istituto alberghiero vicino casa e la palestra a due fermate di bus. Era diventato un misto di cuoco e giocatore di basket, ma raramente riusciva a conciliare le due attività. Quando gli venivano bene le “pennette” giocava pessime gare e quando faceva una bella partita si mangiava maluccio. Insomma una sintonia perfetta, chissà perché, non c’era mai. Fortunatamente in quelle finali mangiarono tutti, veramente, una schifezza... Ma in compenso lui prese il volo, andò a giocare in classi superiori, con squadre più importanti. La sua vita ebbe un cambiamento, fino a quando non s’innamorò. Da quel momento diventarono tre i meccanismi da sincronizzare: se il sentimento andava male si mangiava da cani ma si vinceva la partita; se invece non andavano bene le cose in campo era capace di fare, sbrigative, promesse di matrimonio alla ragazza, però lasciando tutti a digiuno; viceversa quando il pranzo era prelibato, la fidanzata scompariva dalla circolazione, mentre i compagni si regolavano come se lui non fosse andato proprio a giocare. Ma se ne fregavano, perché almeno erano tutti sazi! In quel fine aprile il campeggio era tutto per loro. Il buon presidente aveva preso in affitto dei bungalow, nel greto di un fiume in secca, a due passi dal mare, dove i ragazzi “tuttofare” dormivano, cucinavano, si allenavano e, involontariamente, realizzavano la vacanza. La mattina si usciva per la spesa e poi l’allenamento di rifinitura per l’attesa partita del pomeriggio. Dopo pasto la mènsa veniva sparecchiata rapidamente. Si puliva, spazzava, lavava.., tutto con iniziative personali, senza comandi né capo chef. Ci fossero stati quelli della vecchia squadra non sarebbe mai stato così, rifletteva, con tenera compassione, il bravoallenatore, “sdraiato” ad osservare la laboriosità dei giovani quartiere bene. Le notti trascorrevano tra tinture e massaggi, il pomeriggio si andava in campo coi capelli verdi, rossi, bleu. Erano di moda.. Anche se il bravoallenatore ricordava di averli visti già qualche ventennio prima al “fox” di Londra durante i suoi viaggi col sacco a pelo e senza campeggio. Ma non lo diceva per non rompere l’entusiasmo dei ragazzi o, più probabilmente, per non mostrarsi troppo vecchio. Ogni partita vinta era un giorno ancora di permanenza e per il “cuoco giocatore” un giorno di lavoro in più. Lui, sempre troppo atteso da tutti, alle prese con la spesa, zucchine, patate e canestri. Forse era ancora un po’ tenero per tante cose. E dentro di sé ne soffriva parecchio. Nel furgone c’erano provviste di pasta sufficienti per arrivare alla “finale europea”; litri di minerale talmente brodosa da provocare preoccupanti diarree nei bevitori; souvenir della loro città, in “rinascita”, da offrire agli avversari prima delle partite; e decine di cassette stereo, che spaziavano da Pino Daniele agli emergenti 99 Posse. E che non venivano mai ascoltate, per le continue guerre d’esclusiva sullo stereo. Tra fornelli, vittorie, lavaggi di pentole e blues di Pino, arrivarono all’ultimo giorno delle finali; lasciando sul campo il sogno di fare un’altro “campeggio” per l’ultima fase nazionale. Il ritorno fu pieno d’amarezza e delusione. Nel pulmino c’era rammarico per l’occasione sprecata e qualcuno aveva anche un po’ di “appetito”. E non bastò “na tazzulella ‘e café” a tirarli su. Almeno per il momento. Passarono alcuni anni, e il “fiume secco” ebbe un’inaspettata, spaventosa, inondazione che trascinò con se il camping, alcune vite.., il loro ricordo. Anche lo “sbrigativo” matrimonio del cuoco ebbe un diluvio, che spazzò via un periodo della sua vita. Oggi il campeggio non esiste più. Il fiume è sempre in piena; così come la volontà del giocatore di ricominciare tutto daccapo. Il racconto è tratto dal libro: Storie di basket vissuto" Ed.: Il golfo.





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