Antonio Petillo
Prima di partire per i corsi Allenatori, che si terranno a Norcia dal 6 al 19 luglio 2008, con il compito di Formatore dei giovani allenatori nazionali, Antonio Petillo lascia un'altro racconto tratto dal suo libro "Storie di basket vissuto":
I GENITORI
Uno degli sport più praticati in assoluto, oltre al calcio e al basket, è il “genitore del giocatore”. Si tratta di una disciplina molto impegnativa che può avere inizio a trenta, quaranta o perfino a cinquant’anni; dipende da quando nasce il bebè. Ci sono “genitori del giocatore” che già dopo un mese di vita lanciano nella culla del neonato palloni di calcio, pallavolo, rugby, pallamano, posizionandosi in attesa della respinta. Qualcuno più incauto, scaglia già palloni di basket, ma per la pesantezza della sfera il bimbo sprofonda al piano di sotto lui, la culla e il materasso. Gli ex ciclisti si presentano fin da allora con biciclettine, borracce (col latte) e qualche milligrammo di “polverina” per migliorare l’ematocrito. Gli ex nuotatori, invece, inabissano il piccolo in alto mare, solo che il disgraziato, anziché imparare a nuotare, impara a “bere” ritornando a galla con la pancia gonfia e la bronchite addosso. Si racconta, poi, che un ex pugile allenava a cazzotti il figlio di due mesi, ma fu rinchiuso in manicomio dietro denuncia di moglie e suocera.
Chi pure perde la testa dietro il figlioletto di un anno è l’ex giocatore di basket che, nella pretesa di impedire al bimbo di “calciare” il pallone, gli lega le gambe; costringendolo solo ad effettuare palleggi, passaggi e ball- handling. Verso i tre anni, poi, applica canestri per tutta la casa: sugli armadi, lampadari, quadri, mensole e tutto quello che si trova verso l’alto. Spesso dopo la prima “schiacciatina” bisogna recuperare il bambino da sotto ad una frana di mobili. L’unica faccenda che il papà svolge con piacere alla moglie è accompagnare il bambino al mini-basket. Infatti, è sempre stressato tra corse in ufficio, traffico e palestra, ma non se ne importa nulla perché l’illusione ripaga tutto. Al primo canestro del figlio, realizzato nel campionato “microbi”, è di solito tanto emozionato da essere colto da un forte malore al petto, tant’è che il piccolo deve accompagnare il padre all’ospedale più vicino. I primi litigi con l’allenatore iniziano nei campionati successivi, durante i quali il “genitore” inizia a fare complessi rilevamenti statistici; lamentandosi dei pochi passaggi ricevuti dal suo “cocco”. E, siccome sono tutti a fare i loro rilevamento dati, spesso nascono delle gigantesche zuffe tra genitori, da fare invidia agli holigans più sfrenati. In questi casi, più che le forze dell’ordine solo l’intervento dei giocatorini è utile a dividere i propri parenti. In ufficio il papà non fa altro che parlare delle prestazioni del figlio. Per il fatto che tutti i colleghi hanno i loro figlioletti, iniziano lunghi dibattiti su schemi, arbitri e impostazioni di gioco, tralasciando completamente il lavoro. A seguito di ciò, ben pochi “genitori” scampano al licenziamento. Nel periodo Cadetti, il “genitore del giocatore” è sempre impegnato con forbici, colla e pennelli, nell’intento di assemblare gli scampoli di giornali sportivi con il cognome di famiglia. Ritagli che sono leggibili solo con la lente d’ingrandimento perché non più grandi di un francobollo. Succede nell’anno Juniores che il “genitore” è preso dalla frenesia di portare il proprio “campione” a Bologna, Milano, Treviso… Inizia così la guerra fredda col Presidente, che viene risolta, quasi sempre, con l’acquisto, a peso d’oro, del cartellino del figliuol prodigio. Non sempre si riesce a fare un buon affare con l’acquisto dell’erede. Così, l’incauto acquirente, sommerso da cambiali e pagamenti, è costretto a girovagare ovunque per piazzare la presunta promessa.
La carriera del “genitore del giocatore” quasi sempre finisce quando il ragazzo, esausto degli attaccamenti del babbo, scappa con un’amabile biondina o una brunetta; dipende dal colpo di fulmine. Allora non ne vuole più sapere di palloni, biciclette, tuffi e cazzotti. Cosicché il papà, trovandosi vicino alla squadra del disamorato figlioletto, inizia a fare il genitore degli altri giovani. Il che lo fa stare meglio. Anche perché, sicuramente, non li ha costretti lui a praticare quello sport. E poi il suo “uomo” non ha più bisogno di lui, quindi è più morale e di cuore mettersi a disposizione di altri.
Antonio Petillo
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