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I racconti di Antonio Petillo: "La notte"


Tratto dal libro "Ma che belpresidente" di Antonio Petillo Edizione Guida, il racconto "La notte". Addirittura in pantofole e con uno spolverino messo su frettolosamente sul pigiama di colore rosso pompeiano, si precipitò di corsa fin sotto casa dell’interessato. Voleva sapere il perché. Cosa fosse successo. Cos’era cambiato improvvisamente e senza alcun indizio premonitore. Mezzanotte, forse anche più tardi, ma non era un problema. Lui, l’orologio non l’aveva neppure guardato. Saputa la notizia, si era lanciato per le scale furioso e deluso senza nemmeno informare in casa della sua uscita. Non si poteva capacitare. Eppure aveva avuto garanzie da tutti gli eletti, assessori, consiglieri e finanche da uscieri e fattorini. L’ordinanza era stata emessa dal consiglio comunale al completo ed all’unanimità, senza bisogno di lunghi dibattiti o normative speciali. L’impegno era stato chiaro: in occasione del successivo consiglio comunale, si sarebbe proceduto alla “formalità” del voto e poi, dopo pochi giorni, dato il via libera all’esecuzione dei lavori, in località “campagna sperduta” dalle parti del cimitero. Ma poi, cos’era accaduto? Perché era stata revocata, inaspettatamente, la sospirata riunione del consiglio municipale? Chi l’aveva stabilito e perché?!? Si chiedeva infuriato il belpresidente, nel percorrere in pantofole i due chilometri di vicoli che lo dividevano dall’abitazione del maggiore imputato: il Sindaco in persona. I partiti della destra, tutta look e niente contenuto, quelli della sinistra, tutta ideale e niente di concreto, gli ex democristiani freschi di tangentopoli, riciclati nel centro moderato, tutti, ma proprio tutti, gli avevano promesso l’accordo e il sicuro appoggio istituzionale. Lui, da solo, in virtù della sua grande passione sportiva e caparbietà, era stato capace di ottenere una sorta di compromesso storico del duemila, da fare rabbia ai più facinorosi estremisti internazionali. Ma poi la notizia del rinvio. La proroga d’impegni e parole date, l’aveva mandato su tutte le furie. L’incubo del palleggio delle responsabilità politiche gli aveva annientato la voglia di dormire. E via, senza pensarci neppure su un secondo, s’incamminò tra i vicoli dormienti. Non si è mai saputo di preciso quanto impiegò per arrivare a destinazione ma di certo i suoi piedi, benché infilati nelle ciabatte di felpa amaranto, avevano lo stesso ritmo di un maratoneta ambizioso ad una gara olimpica. Piombato al punto d’arrivo, senza avvertire sforzo né fatica, svegliò impetuosamente tutto il caseggiato, nel tuonare ad alta voce il nome del primo cittadino. “Calma, calma, ne parliamo domani di prima mattina”, implorava, a gesti da dietro la finestra, lo sventurato Sindaco, in pigiama a righe zebrate di colore blu carogna e giallo spavento. Ma lui no! Non voleva sapere ragioni. Pretendeva immediati chiarimenti e rapide soluzioni. Nel contempo lo invitava a scendere giù, nonostante l’ora tarda e il bel pigiamino rigato. “Risolveremo tutto domattina. Lo promette il sindaco in persona!”, insisteva il meschino, preoccupato per l’affacciarsi di tutto il caseggiato. “No! Ne dobbiamo parlare adesso. Quì giù. Subito!”, insisteva il “maratoneta” dalle ciabatte felpate. Le implorazioni del Sindaco dal balconcino rococò non finivano mai, ma il belpresidente non le sentiva neppure. Fissava il portone aspettando che il politico uscisse a chiarire i perché. Per mesi interi aveva ascoltato promesse e consigli, preparato incartamenti e cauzioni, poi, finalmente al traguardo dell’ultimo atto, quell’inatteso rinvio che sapeva di beffa ed inganno. Dagli occhi sparuti del sindaco, che avevano perso ormai speranza di riprendere sonno per tutta la notte, si leggeva il rammarico per aver annullato quell’ultima assise. Quella delibera finale per la costruzione del nuovo palazzetto, necessario per consentire alla squadra del belpresidente di partecipare al campionato di serie “A” appena conquistato, era da mesi il suo tormento principale. Intanto, nel mentre i coinquilini riempivano, incuriositi e seccati, balconi e finestre, il Sindaco si calò per le scale raggiungendo il belpresidente. Urla, bestemmie, invettive e promesse. Poi, dopo un lungo momento di commozione, abbracci, carezze ed assicurazioni, dal telefonino del primo cittadino partirono decine di convocazioni. Assessori, consiglieri, tecnici e consulenti, furono tutti contattati per sbrogliare l’annoso problema. Leggenda racconta che che si incontrarono tutti in pigiama davanti al portoncino settecentesco del primo cittadino. Cosicché, nel mentre il belpresidente si muoveva nervosamente avanti e indietro nelle sue belle ciabatte colorate, i consiglieri in “assemblea” sciorinando i loro pigiamini, attuarono le opportune delibere per il posto “sperduto” dalle parti del cimitero. Grazie a quella notte, dopo soli tre mesi, il belpresidente vide completato il suo sofferto palazzetto. Canestri, spalti, spogliatoi e panchine, tutto era ultimato a regola d’arte, compreso il delicato rettangolo di gioco in parquet. Un raffinato e lucidissimo parquet, sul quale i suoi atleti correvano forte e spediti, calzando comode scarpette di marche famose, molto, ma molto, più comode di “volgari” ciabatte di felpa amaranto.





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