BUS STOP
“Quell’autostrada è un muro, pieno di felicità…..”, cantava Pino Daniele. Ma lui contro quel muro ci cozzava spesso.
Ogni viaggio di ritorno da una sconfitta diventava una tortura, per dirigenti, staff e giocatori. Una sorta di Calvario.
Le telefonate da casa sua si susseguivano a ritmo da primato mondiale. Gli squilli dei cellulari si contavano a decine, centinaia, migliaia! Le orecchie di tutti si surriscaldavano al punto da bollire a causa dei decibel emanati dal belpresidente. Un bombardamento via etere, fatto di pesanti parole che aleggiavano minacciose nel pullman che li stava riportando a casa dopo la partita, disgraziatamente, persa. Invettive, accuse ed imposizioni non si contavano più, in quel viaggio su di un’autostrada divenuta ormai di fuoco. Stipendi congelati, riunioni quotidiane alle sette di mattina, ritiri anticipati e a spese proprie, su sperdute colline o impervie montagne d’Italia. Erano solo alcune delle trovate elaborate dal belpresidente, versione incazzata, nel corso della notte da passare insonne. Ad ogni telefonata fatta al dirigente di turno pretendeva la lettura dettagliata e precisa di tutto lo scout della gara appena persa. Voleva essere informato dei minimi dettagli: percentuali al tiro d’ogni singolo, minuti giocati, palle perse, palle recuperate, falli fatti e subiti, rimbalzi e, perfino, le voci OER e P/M, oscuri arcani, di cui nessuno sapeva il vero significato.
Cosicché, tra una lettura e l’altra, sempre dello stesso scout, i due dirigenti al seguito si riposavano l’orecchio passando l’ardente telefonino al collega. Solitamente, man mano che i chilometri passavano, le minacce si affievolivano sempre di più, fino a convertirsi nella solita punizione che consisteva nella visione obbligatoria del video della partita persa, ripetuta continuamente il martedì mattina con orario 7,30 – 13,30.
Quella volta però il belpresidente ebbe una trovata assolutamente originale. Forse fu il dolore per l’inaspettata sconfitta ma quella notte si mostrò proprio in gran forma, traendo dal suo repertorio di punizioni post sconfitte, un castigo veramente perfido: ordinò ai due dirigenti dalle orecchie fumanti di non stoppare mai il bus! Una via diretta, per otto ore filate, fino alla destinazione! Niente soste, niente cena né pipì! La non ottemperanza sarebbe stata sanzionata con esorbitanti tagli di stipendio o addirittura di giocatori. A bordo ci fu immediatamente una specie di rivolta per interposta persona, poiché il cerbero interlocutore si trovava a circa settecento chilometri di distanza. Intanto da quel momento, forse per un fatto psicologico oppure per problemi di prostata, ma tutti, proprio tutti, sentivano la necessità impellente di fare la pipì.
I capannelli dei contestatori a bordo si spostavano dalla parte anteriore a quella centrale o sul fondo del pullman, a secondo delle urla dell’oratore. Finché, nel mentre in cerchio si stava componendo il numero di cellulare del belpresidente, fu di nuovo lui a richiamare. Allora, dopo l’ennesima lettura dello scout, completo dei famosi OER e P/M, il belpresidente mostrò tutta la sua clemenza concedendo una sola sosta “urinatoria” purché sulla piazzola d’emergenza. Intanto, l’unico che ascoltava passivamente, disinteressandosi della materia della contrattazione, era l’autista, che avrebbe fermato il pullman a suo piacimento ed ovunque. Infatti, dopo appena due chilometri d’altre chiacchiere ascoltate, stoppò il bus in una piazzola per sbracarsi ed innaffiare liberamente, e a guisa d’estintore, il verde dell’autostrada. Lo seguirono immediatamente tutti quanti, allagando la piazzola fino ai limiti dello smottamento.
Ritornati a bordo, nel mentre si riformavano nuovi rivoluzionari capannelli, Franco l’allenatore, solitamente molto calmo e di poche parole, preso da spirito di sagace condottiero, si proiettò in un’ardimentosa arringa.
A conclusione, accollandosi tutte le responsabilità del caso, e trasgredendo gli ordini del belpresidente, propose di fermarsi per una bella “magnata”, a spese proprie, con tutti i giocatori. Così fu. Gozzovigliarono fino alle tre di notte, prima di ripartire, con la pancia abbuffata e l’uretra svuotata, verso il loro paese. Nel pullman ritornò la pace. C’era chi dormiva, chi leggeva un buon libro, chi giocava al solitario, ma nessuno al telefono. Tutti rigorosamente con i cellulari spenti a godersi, senza disturbi, il silenzio della notte. Pare che il gesto costò molto caro a Franco l’allenatore, che in compenso guadagnò la riconoscenza di tutta la squadra e dello staff. E, sotto, sotto, pure la stima del belpresidente.
Da quel giorno, ognuno, nutrendo un sentimento d’infinita riconoscenza, lo invitava ripetutamente a cena nei migliori ristoranti della regione, per di più dotati di lucidi e profumati bagni. Molto, ma molto, più confortevoli delle laide latrine dei motel.
Il racconto è tratto dal libro di Antonio Petillo: "Ma che Belpresidente" Edizione Guida.