I racconti di Antonio Petillo, tratti dal libro “Storie di basket vissuto” editore Grafica del golfo.
Il dente
Come al solito, il primo ad essere chiamato urgentemente fu il bravoallenatore che in quel momento si trovava nel campo di calcio, per l’allenamento di pallacanestro, mentre il campo di basket pare fosse occupato per l’addestramento di “pugilato”. L’allarmismo dei “piccioni viaggiatori” fece precipitare il bravoallenatore nel campo di basket, dove trovò il disgraziato Mario un po’ abbattuto e con un dente in meno. Forse uno scontro involontario, un rimbalzo a gomiti aperti o una “capata” casuale, pensò l’accorrente. Mentre tutti erano accasciati per terra a trovare l’incisivo destro del giovane playmaker. Dalle loquaci testimonianze dei giovani, nonché del loro “dormente” allenatore, fu subito riferito che era stato uno “jab” sinistro di Salvatore a mandare al tappeto il dentone con tutta la radice. E’ vero che si enfatizzava un gioco difensivo molto aggressivo, ma in quel caso si era un poco esagerato... Alle prese con la nuova faccenda, i due belligeranti fecero momentaneamente una tregua, giurando clamorose rivalse e ripromettendosi di continuare in seguito. Ma intanto il dente era “partito”. O no?
“Un po’ d’acqua e sale, non si può fare di più”, dichiarò l’incompetente di turno al pronto soccorso. Ma il bravoallenatore ricordava che in qualche occasione aveva sentito parlare di reimpianto, che alle orecchie del medicante fu Arabo. Intanto, la zanna giaceva in una busta di latte, messa a disposizione dalla custode del campo. “Nei germi vivi del latte il nervo del dente è ancora attivo”, blaterava il bravoallenatore, alludendo a cose che aveva vagamente sentito da un dentista, genitore di un suo ex allievo. “Sono le undici di sera, tornate domani”, fu la frase che convinse il soccorritore a cercare il dottor Ezio, medico dentista e papà del suo vecchio play Antonio, classe ’67.
Nell’appartamento di via Colli Aminei, alle undici passate e con una bella faccia tosta, si presentarono in quattro più il “dente”, sempre in ammollo nella busta di latte della centrale. Il dottore, molto sensibile e comprensivo, non seppe dire di no. Così, mise tutta la sua scienza a disposizione dei pellegrini, reimpiantando l’incisivo con una moderna tecnica e senza chiedere alcun rimborso. All’una di notte passata, con la dentatura che sembrava ancor più lucida di prima, si salutarono con mille ringraziamenti e fiduciose promesse di non fare più combattimenti. Infine, si riproposero di rivedersi dopo tre giorni, per verificare la perfetta efficacia dell’intervento e poi poter mangiare liberamente anche una sporta di taralli “n’zogna e pepe” o addirittura un pezzo di torrone di Benevento. E così fu. I genitori di Mario, tre giorni più tardi, potettero costatare l’assoluta funzionalità del dente ed esprimere riconoscenza al dottor Ezio, medico dentista, per l’esemplare missione compiuta. Ma il destino ingrato nei confronti dei soccorritori avanzò incessante: accadde che Mario, tra un tarallo e un tozzo di pane, un pezzo di torrone e due nocelle, se la “cantò” col padre; raccontando di come realmente si era staccato il dente. In breve tempo, le ire del Signor Rocco raggiunsero le aule del tribunale. Dove furono portati, per omissione di denuncia al drappello di Polizia dell’ospedale, non solo l’istruttore della squadra e il “pugile” reo confesso, ma anche il bravoallenatore. Il quale, tra l’altro, non era mai stato al corrente della menzogna sui fatti, riferita al padre dal “boxeur perdente”. Avendo, in quella circostanza, solo prestato la sua disponibilità e abusato di una sua vecchia amicizia, alla quale, per di più, non aveva mai ricorso per sé. In ogni caso, la cosa che più amareggiava e faceva sentire in colpa il bravoallenatore, era la convocazione in tribunale anche del dottor Ezio, medico dentista. Il professionista, non era stato tirato in ballo per l’episodio del pugno, ma ancora peggio, doveva rispondere del reato di “falso e abuso di esercizio della professione”. Poiché, sorprendendo tutti, si trattava “semplicemente” del signor Ezio, odontotecnico, non essendo un medico regolarmente laureato. Pertanto, colpevole di aver svolto una pratica da dentista. “Nun se po’ fa nu piacere a nisciuno” sosteneva Pappagone, vecchia maschera del teatro napoletano. Anche se gli allenatori non erano pentiti di quella scelta. E fortunatamente il giudice capì, scagionando, forse un poco per pietà, il “signor” Ezio, odontotecnico. Il poveretto, da quel giorno gettò trapani e tenaglie, limitandosi a progettare protesi e dentiere, senza voler più sentir parlare di reimpianti, estrazioni e devitalizzazioni di denti. Anche i due allenatori si tirarono fuori dai guai, giurando meschinamente di essere stati testimoni di “una grande gomitata involontaria a seguito di un rimbalzo”; causa, a loro dire, del crollo del lucente dentone. Questa tapina dichiarazione, fece ottenere anche un bel profitto economico al signor Rocco che aveva intrapreso le pratiche assicurative per l’accidentale scontro di gioco. Trascorse qualche anno, e Mario si arruolò, con la sua bella e integra dentatura, nel corpo dell’aeronautica militare. Dove, per tradizionale severità, respingevano le reclute anche per una minuscola carie dentale. Chissà se l’attuale colonnello sia mai stato riconoscente a quelle persone che gli avevano salvato il dente e il posto di lavoro. Qualcuno sostiene di no. Tuttavia, i due allenatori erano certamente appagati per la buona azione compiuta.
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